Protocol Zero_Wainberg: monoterapia con dolutegravir a naive

Ricerca scientifica finalizzata all'eradicazione o al controllo dell'infezione.
Grissom
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Re: Protocol Zero: Mark Wainberg e il Dolutegravir (Tivicay)

Messaggio da Grissom » martedì 7 aprile 2015, 21:30

Scusate se mi intrometto in questa discussione. È da un po' di tempo che ho iniziato a frequentare questa parte del sito, che trovo tanto affascinante quanto incomprensibile per me che non capisco nulla di medicina.
La mia impressione da ultraprofano mi fa ritenere questo approccio il più realistico, fattibile, praticabile: il farmaco è già stato approvato e il risultato di questa ricerca mi pare già disponibile - se ho capito bene. Penso che al momento una strategia come questa (forzare il virus a mutare fino a renderlo "sfigato" e quasi innocuo) sembri la più auspicabile, in attesa di interventi volti al controllo permanente della viremia o addirittura alla eradicazione.
Se il poco che ho capito si avvicina alla realtà, mi chiedo perché non si spinga come pazzi proprio su questa strategia. Ci sono dei lati oscuri che mi sfuggono, dei punti critici in questo approccio?



Dora
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Re: Protocol Zero: Mark Wainberg e il Dolutegravir (Tivicay)

Messaggio da Dora » mercoledì 8 aprile 2015, 8:30

Grissom ha scritto:Scusate se mi intrometto in questa discussione. È da un po' di tempo che ho iniziato a frequentare questa parte del sito, che trovo tanto affascinante quanto incomprensibile per me che non capisco nulla di medicina.
La mia impressione da ultraprofano mi fa ritenere questo approccio il più realistico, fattibile, praticabile: il farmaco è già stato approvato e il risultato di questa ricerca mi pare già disponibile - se ho capito bene. Penso che al momento una strategia come questa (forzare il virus a mutare fino a renderlo "sfigato" e quasi innocuo) sembri la più auspicabile, in attesa di interventi volti al controllo permanente della viremia o addirittura alla eradicazione.
Se il poco che ho capito si avvicina alla realtà, mi chiedo perché non si spinga come pazzi proprio su questa strategia. Ci sono dei lati oscuri che mi sfuggono, dei punti critici in questo approccio?
Ciao Grissom,
mi fa piacere che tu ti stia addentrando in questa sezione del forum. Niente timidezze, però - anche se dall'esterno forse può sembrarlo, non è l'antro della strega, ma solo il tentativo di capire insieme che cosa accade nel mondo della ricerca di una cura. ;)

Per quel che ne capisco, il vero grande punto critico dell'idea di dare dolutegravir in monoterapia a pazienti naive è che giocare con le resistenze può essere assai rischioso e non sappiamo ancora davvero e fino in fondo quali tipi di resistenze si possono formare. Fra l'altro, finora si è visto che le due mutazioni che si vogliono creare insieme si creano per un certo sottotipo di HIV (l'HIV-1 B, che è dominante in Europa, Australia e Stati Uniti, ma non nel resto del mondo), ma non si sa ancora che cosa accada con altri ceppi.
Infatti Mark Wainberg, che è la persona che questo approccio l'ha concepito, sta continuando a studiare la questione in vitro sulle cellule e in vivo nei modelli animali, e ritiene che sia ancora prematuro passare a sperimentarlo su esseri umani.
Chi sta spingendo molto sulle sperimentazioni cliniche - Alain Lafeuillade - più che comunicati stampa al momento non ha emesso (l'ultimo sul dolutegravir è di fine gennaio, ma non dice nulla sul trial di Protocol Zero). E capisci bene che a colpi di comunicati stampa è difficile dare credibilità alle ricerche.
Quindi sì, pare un approccio molto interessante. Ma per vedere se funziona davvero bisogna probabilmente studiarlo ancora un po'.



Dora
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Re: Protocol Zero: Mark Wainberg e il Dolutegravir (Tivicay)

Messaggio da Dora » venerdì 4 settembre 2015, 9:33

BEN TRE TRIAL CLINICI SUL DOLUTEGRAVIR PER CAPIRE SE POTRÀ ESSERE USATO IN QUALCHE STRATEGIA DI CURA


Le tracce del Protocol Zero di Alain Lafeuillade si sono inabissate da mesi in una nebbia di buone intenzioni ed eccessi auto-promozionali. Invece Mark Wainberg ha continuato a lavorare alla sua idea di sfruttare la caratteristica unica del dolutegravir nel campo delle resistenze per provare ad arrivare a una cura dell’infezione da HIV.
A fine luglio ha pubblicato su Viruses una review insieme a Thibault Mesplède - Resistance against Integrase Strand Transfer Inhibitors and Relevance to HIV Persistence – in cui prende in considerazione tutti i tipi di resistenze che si sono visti emergere negli anni nei confronti sia del dolutegravir, sia degli altri due inibitori dell’integrasi utilizzati nei regimi di ART (raltegravir e elvitegravir) e approfondisce e meglio definisce la sua ipotesi di cura.
Stanno inoltre finalmente iniziando ben tre diversi studi su pazienti per cominciare a capire se quell’idea potrà un giorno avere applicazione clinica.
Prima riprendiamo l’ipotesi di Wainberg, poi vediamo i tre trial.

L’uso combinato di antiretrovirali con meccanismi d’azione diversi riesce in generale a precludere l’emergere di mutazioni che rendono i virus resistenti ai farmaci. Ciò nonostante, talvolta la ART fallisce e le resistenze ai farmaci si sviluppano. Anche se di solito la sospensione di quei farmaci comporta un ritorno al wild type delle popolazioni virali divenute resistenti, la ripresa del trattamento porta quasi sempre al ripresentarsi delle mutazioni resistenti, quindi all’impossibilità di usare quegli specifici antiretrovirali e magari anche altri della medesima classe. Questo dipende dal fatto che i virus divenuti resistenti ai farmaci vengono archiviati nel reservoir latente più o meno nello stesso momento in cui sfuggono alla pressione dei farmaci.
La formazione del reservoir si ha dunque sia durante la fase acuta dell’infezione e prima dell’intervento della ART, sia ogni volta che si verifica una replicazione attiva di HIV o perché i farmaci sono inefficaci o sottodosati, o perché il virus si riattiva spontaneamente dalla latenza.

Fra i farmaci approvati più di recente, abbiamo la classe degli inibitori dell’integrasi (INSTI – integrase strand transfer inhibitors): raltegravir, elvitegravir e dolutegravir – ciascuno dei quali è ben tollerato e ha relativamente pochi effetti collaterali grazie, secondo Wainberg, al fatto che non esiste un enzima umano che sia funzionalmente omologo all’integrasi dell’HIV, a differenza di quanto accade con la trascrittasi inversa e la proteasi.
Oltre ad avere bassa tossicità, i regimi antiretrovirali basati sugli INSTI sono molto efficaci nel sopprimere la replicazione in vivo dell’HIV, tanto che sono ormai raccomandati come combinazioni terapeutiche di prima linea.
Anche se raramente, capita che si sviluppino nella regione del virus che codifica per l’integrasi delle mutazioni che rendono l’HIV resistente agli INSTI. Mai però si sono viste fino ad oggi resistenze al dolutegravir emergere in pazienti naive.

Inoltre, la selezione di resistenze al dolutegravir nelle colture cellulari ha prodotto solo due mutazioni che da un lato conferiscono un basso livello di resistenza al farmaco, ma dall’altro danneggiano enormemente la vitalità del virus. Fino ad oggi, dopo più di 4 anni di studio in vitro sulle cellule, non sono mai emerse delle mutazioni secondarie di compensazione, cioè in grado di aumentare la resistenza al dolutegravir e restaurare la fitness virale.
Questo può dipendere dal fatto che i virus che contengono mutazioni resistenti al dolutegravir sono relativamente incapaci di replicarsi. Se si conferma che questo vale anche in vivo (e l’uso del farmaco nella vita reale da un paio d’anni sembra proprio confermarlo), allora lo sviluppo di un basso livello di resistenza al dolutegravir nelle terapie di prima linea non dovrebbe avere conseguenze di rilievo a livello clinico.

Dovrebbe così essere possibile usare il dolutegravir in monoterapia nei pazienti naive, monitorando le mutazioni resistenti al dolutegravir sia nell’RNA, sia nel DNA del virus presente nei CD4 del sangue periferico: se si ottenessero risultati simili a quelli degli studi di fase III che hanno portato all’approvazione del farmaco – cioè l’assenza di mutazioni resistenti – si potrebbe pensare che alcuni cicli di monoterapia con dolutegravir alternati con periodi di sospensione del farmaco potrebbero convertire tutto l’HIV presente in una persona, compreso l’HIV latente nei reservoir, in un virus che fa un’enorme fatica a replicarsi. Se non si sviluppassero alla lunga delle mutazioni capaci di compensare questa fitness virale diminuita, si potrebbe infine arrivare a una cura funzionale dell’infezione.

Nonostante le fughe in avanti di Lafeuillade, Wainberg ritiene che questa idea debba essere testata seriamente nei modelli animali prima di poterla mettere alla prova in uno studio sull’uomo (e continua a scriverlo ancora oggi, un anno dopo aver reso pubblica la sua ipotesi di cura).

Ma le meraviglie del dolutegravir sul fronte delle resistenze non sono finite e aprono la possibilità di usarlo anche all’interno di altri tipi di strategie di cura.

Infatti, durante i diversi trial che hanno portano all’approvazione, è stata fatta un’osservazione molto importante: a differenza di quanto accade a raltegravir o elvitegravir, non si sono mai viste emergere delle resistenze agli NRTI in persone (naive o experienced) che fallivano un regime basato sul dolutegravir insieme ad inibitori della trascrittasi inversa. Mai, né durante i trial clinici, né nei due anni di normale pratica clinica da quando il dolutegravir è stato approvato.

Le proprietà uniche del dolutegravir riguardo alle resistenze sono – dice Wainberg – una conseguenza della sua potenza, del fatto che è efficace a concentrazioni bassissime (nanomolari), di una farmacodinamica favorevole che lo rende capace di legarsi all’enzima integrasi e infine di una ottima distribuzione nei tessuti e di una penetrazione nel liquido cerebrospinale notevolmente superiore rispetto a quella raggiunta dal raltegravir.
Da un punto di vista farmacocinetico, poi, il dolutegravir mantiene molto più a lungo rispetto al raltegravir i propri effetti inibitori sulla replicazione del virus.
Questa farmacocinetica favorevole e la buona distribuzione nei tessuti sono ciò che rende il dolutegravir superiore a qualsiasi altro antiretrovirale nella questione delle resistenze. In particolare, la capacità del dolutegravir di proteggere contro resistenze che riguardano gli NRTI suggerisce che questo farmaco possa essere superiore anche rispetto agli altri inibitori dell’integrasi nell’inibire la componente dinamica del reservoir, cioè quella capace di uscire dalla latenza e replicarsi.

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Questa ipotesi è supportata dall’osservazione di bassi tassi di emergenza di virus resistenti nelle persone trattate in monoterapia rispetto a quelle trattate con terapia combinata. Dal momento che il dolutegravir è un inibitore dell’integrasi, che agisce prima dell’integrazione del virus e dunque prima che si possano stabilire reservoir integrati in cellule con una lunga vita come i CD4 della memoria centrale, l’ipotesi di Wainberg è che il dolutegravir possa impedire che dei virus capaci di replicazione diventino parte del reservoir latente più stabile. Questa ipotesi viene indagata nello studio DRONE, il primo fra i tre trial di cui parleremo fra poco.

I reservoir latenti che si sono stabiliti prima dell’intervento del dolutegravir non dovrebbero essere intaccati da una ART intensificata con questo INSTI. Ciò non toglie che uno studio clinico di intensificazione della ART potrebbe comunque dare indicazioni molto interessanti e magari dimostrare una maggiore efficacia del dolutegravir rispetto agli studi di intensificazione con il raltegravir, che sono stati assai deludenti. C’è dunque in partenza lo studio DIORR, con l’obiettivo di misurare le dimensioni dei reservoir in risposta a intensificazione della ART con dolutegravir. Questo è il secondo trial di cui stiamo per parlare.

Gli studi fatti negli scorsi anni sull’intensificazione della ART sia con raltegravir, sia con maraviroc (inibitore del CCR5), sono stati frustranti, perché non hanno evidenziato alcun effetto sulle dimensioni del reservoir. Inoltre, l’emergere di una particolare mutazione (M184I) nel DNA virale integrato in una persona che stava intensificando la ART con raltegravir ha confermato che questo farmaco non è in grado di proteggere contro il formarsi di mutazioni che rendono il virus resistente agli NRTI.

Mettendo insieme questa osservazione con quella che un dosaggio ottimale di dolutegravir protegge dall’emergere di virus resistenti agli NRTI perfino in chi fallisce le terapie basate sul dolutegravir, Wainberg ritiene che l’intensificazione con dolutegravir potrebbe dare risultati molto più interessanti rispetto a quella con raltegravir.

Come è possibile – si chiede Wainberg – che l’emergere di un HIV capace di replicazione e con una modesta resistenza al dolutegravir possa avere un impatto sul reservoir?

Noi sappiamo che in quasi tutte le persone con HIV il reservoir consiste soprattutto di virus che è entrato in latenza ed è stato quindi archiviato nel reservoir nelle prime fasi dell’infezione, cioè in quasi tutti i casi di virus wild type, tranne che nelle persone che sono state infettate fin dall’inizio con un virus che aveva delle mutazioni che lo rendevano resistente a certi farmaci.
Poi, nel corso dell’infezione, durante un fallimento terapeutico possono essere emersi dei virus resistenti e anche questi essere finiti archiviati nel reservoir. Alcune di queste varianti potrebbero essere resistenti agli inibitori dell’integrasi, dolutegravir compreso.
Ma la capacità di questi virus di replicarsi in assenza della pressione esercitata dai farmaci potrebbe essere gravemente compromessa, sia che si tratti di virus wild type, sia che si tratti di virus resistenti.
Quindi se viene meno la pressione dei farmaci o perché l’aderenza è scarsa, o perché si fa una interruzione programmata della terapia, ci si aspetta che dal reservoir riemergano o virus wild type, o virus resistenti capaci di replicazione, ma non virus che portino le due mutazioni che li rendono debolmente resistenti al dolutegravir, poiché sappiamo che questi fanno molta fatica a replicarsi e, anche qualora ci riescano, hanno un’integrasi che funziona malissimo, quindi non riescono poi a integrarsi.

È anche molto probabile che il dolutegravir continui ad essere attivo anche contro questi virus.

Dato questo contesto, reintrodurre il dolutegravir come parte di un secondo ciclo di terapia dopo un fallimento o un’interruzione terapeutica dovrebbe permettere di sopprimere di nuovo la viremia e distruggere sia i virus che si risvegliano dai reservoir, sia quelli attivamente replicanti, indipendentemente dal fatto che tutti questi virus siano wild type o abbiano delle mutazioni associate a resistenza contro qualsiasi tipo di ARV.


Veniamo infine ai tre studi clinici in partenza quest’estate e con risultati previsti fra fine 2016 e inizio 2017.

Il primo è lo studio DRONE: Impact of Starting a Dolutegravir-based Regimen on HIV-1 Proviral DNA Reservoir Of Treatment Naïve and Experienced Patients (DRONE).
È uno studio di fase IV, prospettico, multicentrico, interventistico, che si svolge in Francia su un unico gruppo di [non so quanti] pazienti ed è coordinato dall’Università di Strasburgo.
L’obiettivo principale è la valutazione dei cambiamenti del reservoir di DNA provirale durante 48 settimane di trattamento con regimi basati sul dolutegravir, sia in pazienti naive, sia in pazienti che non sono alla loro prima terapia.
Verranno inoltre studiati sia la farmacocinetica del dolutegravir, sia diversi marker di attivazione immunitaria e infiammazione (proteina C reattiva, IL-6, neopterina, D-dimero, CD14 solubile).

Il secondo trial è lo studio DIORR: Dolutegravir Impact on Residual Replication (DIORR).
È uno studio di fase IV, interventistico, randomizzato e in doppio cieco con placebo, che si svolge a Melbourne su circa 40 persone ed è diretto da Sharon Lewin.
L’idea che lo ispira è la necessità di indagare la possibile replicazione virale attiva in presenza di ART soppressiva. Una questione fondamentale sia nelle strategie di cura, sia nel contrasto dell’attivazione immunitaria associata all’infezione, che negli scorsi anni è stata affrontata in diversi studi di intensificazione della ART, che hanno dimostrato che aggiungere un farmaco a un regime di ART soppressiva non serviva ad alterare la frequenza delle cellule latentemente infette (cioè la dimensione del reservoir) o a diminuire la viremia residua di basso livello.
Quando per intensificare la ART è stato usato il raltegravir, però, in circa il 30% dei partecipanti si è potuto misurare un aumento transitorio dei circoli 2-LTR. Questi sono interpretati come un marker di replicazione virale attiva, quindi se ne è dedotto che, per quanto poco, qualcosa il raltegravir poteva aver fatto per disturbare il reservoir.

Questa volta, Sharon Lewin intensifica con dolutegravir una ART soppressiva basata su inibitori della proteasi e indaga i livelli di replicazione virale residua nei CD4 presenti nel sangue e i cambiamenti nei livelli di circoli 2-LTR, mettendoli a confronto con un placebo.
Inoltre, valuta lo stato di attivazione e infiammazione misurando i livelli di HLA-DR, PD-1 e CD-38.

L’ultimo trial partito quest’estate - HIV Reservoir Dynamics After Switching to Dolutegravir in Patients on a PI/r Based Regimen – è uno studio di fase IV, interventistico, randomizzato e in aperto, che si svolge in Belgio, a Gand, su 44 persone.
Qui vengono indagati i cambiamenti che si verificano nel reservoir virale quando si passa da un regime basato su inibitori della proteasi potenziati con ritonavir a un regime basato su dolutegravir.
Anche qui si valuteranno i livelli di 2-LTR nei CD4 del sangue periferico in diversi momenti durante le 24 settimane di durata dello studio.

Sembrano piccoli passi, ma sono piccoli passi molto più concreti rispetto alle poco realistiche visioni di Lafeuillade.



Dora
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Re: Protocol Zero: Mark Wainberg e il Dolutegravir (Tivicay)

Messaggio da Dora » sabato 24 ottobre 2015, 6:35

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DOLUTEGRAVIR A EACS 2015


All'EACS (15th European AIDS Conference) che si sta tenendo in questi giorni a Barcellona sono stati presentati dei lavori sul dolutegravir di cui danno conto sia Liz Highleyman su AIDSmap, sia Simon Collins su HIV i-Base, sia Mark Mascolini e Jules Levin su Natap.

Uno di questi lavori - fatto da Pedro Cahn a Buenos Aires - riguarda la combinazione di dolutegravir + lamivudina (epivir, 3TC) in pazienti naive (di cui abbiamo parlato qui tempo fa, perché è studiata anche da Lafeuillade), mentre altri due lavori riguardano il dolutegravir in regimi di mantenimento, in monoterapia a persone con viremia precedentemente soppressa con una ART tradizionale (Martinez a Barcellona e Katlama a Parigi), e un terzo riguarda una semplificazione della ART passando a dolutegravir in mono- o biterapia (Hocqueloux a Parigi).

Sono tutti trial piccoli, non controllati e in aperto, che hanno dunque dato risultati preliminari che richiedono ancora di essere confermati da follow up più lunghi e da studi più articolati (con gruppi di controllo, maggior numero di pazienti, etc.). Inoltre, persone che hanno già preso altri inibitori dell’integrasi hanno avuto risultati meno soddisfacenti rispetto a chi era naive all’intera classe.

Ma tutti questi studi vanno nella direzione che abbiamo già visto: di un dolutegravir come farmaco davvero “speciale”, molto potente e rapido nell’abbassare la viremia e permettere una risalita dei CD4 e difficilissimo a causare resistenze, con pochi effetti collaterali, con poche interazioni con altri farmaci (attenzione a usarlo con alcuni integratori, con gli antiacidi e con i multivitaminici).
Simon Collins riporta la soddisfazione di Mark Wainberg, che ritiene che i risultati portati all’EACS confermino le sue intuizioni sull’uso di dolutegravir in strategie di remissione e di cura.

Potete vedere tutti i dettagli, con abstract e slides ai link segnalati.



Keanu
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Re: Protocol Zero: Mark Wainberg e il Dolutegravir (Tivicay)

Messaggio da Keanu » sabato 24 ottobre 2015, 12:37

Grazie per queste confortanti informazioni Dora. Se il dolutegravir rappresentasse, nell'ambito di una terapia periodica con eventuali sospensioni del farmaco, una cura funzionale, sarebbe preferibile ad una terapia genica, sia per i tempi che questa richiede sia per le conseguenze ancora tutte da scoprire.
Quindi le "meraviglie" del dolutegravir in linea generale non valgono solo per i pazienti naive ma anche per chi è entrato già in terapia?



Dora
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Re: Protocol Zero: Mark Wainberg e il Dolutegravir (Tivicay)

Messaggio da Dora » sabato 24 ottobre 2015, 15:18

Keanu ha scritto:Quindi le "meraviglie" del dolutegravir in linea generale non valgono solo per i pazienti naive ma anche per chi è entrato già in terapia?
Le semplificazioni terapeutiche con dolutegravir in mono- o biterapia sono state fatte proprio su pazienti experienced, con HIV da una ventina d'anni e in terapia da poco meno, e in generale, dopo 6 mesi, le viremie continuavano ad essere irrilevabili. Vediamo come saranno i dati a un anno, ma già questi sembrano molto confortanti.
L'unica cosa che mi pare poco rassicurante riguarda i 3 casi su 28 che hanno avuto un fallimento terapeutico nel trial della monoterapia fatto dalla Katlama in Francia: tutti e tre avevano prima usato altri inibitori dell'integrasi (raltegravir per tutti e tre, credo) senza avere sviluppato resistenze e hanno avuto un'aderenza ottima (confermata dai test sui livelli di dolutegravir nel sangue). La viremia è tornata irrilevabile quando la ART è tornata standard (aggiungendo Truvada), ma rimane un segnale da non sottovalutare.

Queste slides non sono ancora state postate nella pagina di Natap dedicata a EACS 2015, ma lo saranno nei prossimi giorni:

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admeto
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Re: Protocol Zero: Mark Wainberg e il Dolutegravir (Tivicay)

Messaggio da admeto » domenica 25 ottobre 2015, 13:04

Dora ha scritto:
L'unica cosa che mi pare poco rassicurante riguarda i 3 casi su 28 che hanno avuto un fallimento terapeutico nel trial della monoterapia fatto dalla Katlama in Francia: tutti e tre avevano prima usato altri inibitori dell'integrasi (raltegravir per tutti e tre, credo) senza avere sviluppato resistenze e hanno avuto un'aderenza ottima (confermata dai test sui livelli di dolutegravir nel sangue). La viremia è tornata irrilevabile quando la ART è tornata standard (aggiungendo Truvada), ma rimane un segnale da non sottovalutare.

Eh non è una prospettiva incoraggiante per chi, come me, è in terapia con Isentress o per chi è in terapia con Stribild, ma stiamo a vedere i futuri sviluppi della ricerca.
Dunque in queste tre persone non si è prodotta quella famosa mutazione che dovrebbe ridurre la fitness virale fino al limite della sopravvivenza del virus, ma altre mutazioni che hanno reso il virus resistente al Dolutegravir, giusto?



Dora
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Re: Protocol Zero: Mark Wainberg e il Dolutegravir (Tivicay)

Messaggio da Dora » domenica 25 ottobre 2015, 15:03

admeto ha scritto:Dunque in queste tre persone non si è prodotta quella famosa mutazione che dovrebbe ridurre la fitness virale fino al limite della sopravvivenza del virus, ma altre mutazioni che hanno reso il virus resistente al Dolutegravir, giusto?
Sì, hai ragione, le mutazioni che si sono sviluppate (E138K, G140A, Q148R nella paziente #1; L74I, E92Q nel paziente #3; il #2 non so) non sono quelle che, se compaiono insieme, causano una grave diminuzione della fitness virale (R263K e H51Y).
Tieni però conto che la scommessa su cui punta Wainberg è un gioco per naive, non per persone già molto trattate come erano i pazienti della Katlama, che invece avevano come obiettivo di alleggerire i loro regimi terapeutici.



Datex
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Re: Protocol Zero: Mark Wainberg e il Dolutegravir (Tivicay)

Messaggio da Datex » domenica 25 ottobre 2015, 18:11

Dora ha scritto:
admeto ha scritto: Tieni però conto che la scommessa su cui punta Wainberg è un gioco per naive, non per persone già molto trattate come erano i pazienti della Katlama, che invece avevano come obiettivo di alleggerire i loro regimi terapeutici.
naive a tutti i tipi di farmaci oppure solo agli inibitori dell' integrasi?



Dora
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Re: Protocol Zero: Mark Wainberg e il Dolutegravir (Tivicay)

Messaggio da Dora » lunedì 26 ottobre 2015, 7:58

Datex ha scritto:
Dora ha scritto:Tieni però conto che la scommessa su cui punta Wainberg è un gioco per naive, non per persone già molto trattate come erano i pazienti della Katlama, che invece avevano come obiettivo di alleggerire i loro regimi terapeutici.
naive a tutti i tipi di farmaci oppure solo agli inibitori dell' integrasi?
Naive a tutti gli antiretrovirali:

http://www.hivforum.info/forum/viewtopi ... 180#p41180

http://www.hivforum.info/forum/viewtopi ... 569#p41569

http://www.hivforum.info/forum/viewtopi ... 630#p42630

http://www.hivforum.info/forum/viewtopi ... 991#p42991

http://www.hivforum.info/forum/viewtopi ... 975#p45975

http://www.hivforum.info/forum/viewtopi ... 642#p50642

Una sintesi qui:

http://www.hivforum.info/forum/viewtopi ... 042#p55042



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