Mentre leggevo le dichiarazioni del professor Agnoletto m’è tornato in mente un flash,
ahimè, di quasi quarant’anni fa: ero in classe, e la nostra “cattivissima” maestra, di fronte a un mio compagno che alla lavagna aveva “risolto” un piccolo problema coi numeri fece una sola domanda dirompente: “spiegaci il risultato”.
Parto da questo flash perché, il problema,
che abbiamo sottolineato più volte e non solo in questo caso, e che pure il professor Agnoletto sottolinea, non sono le persone, non è la dottoressa Ensoli, nella cui buona fede possiamo anche credere, né il “suo” vaccino; il problema è sempre solito:
il metodo.
L’ho già scritto, e lo ribadisco. Chi lo sa, magari il “vaccino pontino”,
che sia preventivo, terapeutico o qualcos’altro, cambierà davvero la storia dell’HIV, ma finora sembra quasi che -
siccome si era partiti- nessuno si sia chiesto se la strada intrapresa fosse da continuare e a quali condizioni.
Che un ricercatore si innamori delle proprie ricerche è naturale, e che preso dalle proprie ricerche presti più attenzione al raggiungimento dell’obiettivo finale piuttosto che ad altro, lo è altrettanto. È pure naturale che, se ci sono dei risultati credibili, si tema di essere troppo trasparenti e, magari, di offrire a team con ben altra larghezza di risorse, di avviare uno sfruttamento delle conoscenze raggiunte con così tanta fatica.
Solo che a noi tutto questo non ci interessa, siamo interessati a capire se queste speranze che la stampa generalista ci sbatte in faccia ogni anno sono fondate o no.
Diamo per scontato che tutto sia più che solido, però quando leggiamo la dottoressa Ensoli sulla (
home page del sito del vaccino TAT, notizia del 15/6/2011) dire “
Sono molto felice di iniziare questo nuovo percorso all’interno dei sentieri tracciati finora (
il nuovo vaccino TAT+ENV, mia nota).
E’ una conferma della fecondità degli studi che portiamo avanti da circa venti anni e che continuano ad aprirci orizzonti nuovi. Significa che la Tat, dopo aver mostrato le sue capacità terapeutiche è in grado di declinare altre potenzialità. Sia utilizzata individualmente, come continuiamo a fare nella sperimentazione terapeutica ormai approdata in Sudafrica, sia associata ad altre molecole...”,
come pazienti vorremmo capire perché, se la TAT ha tutte queste capacità terapeutiche, a noi sembra che si riparta da capo.
Forse è solo un grave errore di comunicazione ma, ancora una volta:
la struttura dell’ISS che sta intorno alla ricerca dov’è? Quegli annunci che ogni anno a novembre/dicembre sembrano dire che “ce la stiamo facendo” a chi dell’HIV sa meno di nulla, perché non sono usati per spiegare a noi pazienti in cosa, concretamente, possiamo sperare, perché questa speranza dovrebbe essere fondata e perché le diffidenze di Aiuti, Gallo, Agnoletto e altri non lo sono?
Ogni anno ci sono nel mondo tanti convegni di infettivologia: basta sceglierne uno (
sono veramente convinto che i più prestigiosi congressi si litigherebbero questa occasione), andare lì con un buon Power Point, spiegare a che punto si è, rispondere alle domande dei Colleghi, e magari fare “discutere” quei dati da un ricercatore prestigioso quanto i nostri (non ci sono mica solo Gallo e Aiuti). Nei congressi succede tutti i giorni e, se i dati sono convincenti, questo consente a migliaia di medici di tutto il mondo di tornare a casa con nuove conoscenze, che spesso fanno anche da volano per nuovi fondi alla ricerca.
Forse sono ingenuo, forse non capisco, eppure a me la strada maestra pare così facile…