Altri HDACi anti-latenza in fase clinica: romidepsina

Ricerca scientifica finalizzata all'eradicazione o al controllo dell'infezione.
Dora
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Altri HDACi anti-latenza in fase clinica: romidepsina

Messaggio da Dora » lunedì 6 maggio 2013, 9:51

Abbiamo parlato fin dai suoi inizi della sperimentazione clinica sul vorinostat e in questi giorni abbiamo trattato della sperimentazione appena partita sul panobinostat. C’è però un altro inibitore dell’iston-deacetilasi in fase clinica e si tratta della romidepsina, un farmaco approvato già dal 2009 contro il linfoma cutaneo a cellule T e altri tipi di cancro, e commercializzato dalla Gilead con il nome di Istodax. Quando la si usa come chemioterapico, se ne dà una dose intravenosa di 15 mg per metro quadro di superficie corporea.

Un trial clinico di fase I/II della romidepsina come farmaco per risvegliare l’HIV latente in persone con viremia soppressa dalla ART è stato approvato l’anno scorso dall’AIDS Cilinical Trial Grup (ACTG) con lo scopo di stabilirne sicurezza, tollerabilità e capacità di attivare l’espressione dell’HIV-1 (Trial A5315) e nell’aprile di quest’anno veniva definito “in sviluppo” in un altro documento dell’ACTG, che affidava il protocollo a Liz Barr della Towson University. Credo quindi che, se la sperimentazione non è già partita, sia in partenza.

Da notizie di tre settimane fa, il trial – guidato da John Mellors e Deb McMahon, Pittsburg – consta della somministrazione di una singola dose di romidepsina secondo tre diversi dosaggi (0,5, 2 e 5 mg/m2 di superficie corporea) a pazienti HIV+ con viremia soppressa dalla ART (VL < 50 copie/mL).
Verranno valutati i cambiamenti nei livelli di HIV RNA nei CD4 quiescenti 24 ore dopo la somministrazione e i livelli di HIV RNA nel plasma a 0 – 48 ore.

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Nel thread dedicato a fare il punto su reservoir, latenza ed eradicazione avevamo già segnalato che nel 2012 la romidepsina era risultata di molte volte più potente del vorinostat nell’induzione dell’HIV latente in prove di laboratorio, e aveva indotto l’espressione dell’HIV RNA ex vivo in 12 pazienti su 13 in ART.

Quest’anno, al CROI, è stato presentato dalla Gilead, in collaborazione con Università di Pittsburg (John Mellors) e Quest Clincal Research (Jay Lalezari), un lavoro in cui studi in vitro e ex vivo dimostravano che la romidepsina era di circa 500 volte più potente del vorinostat nell’indurre l’espressione dell’HIV in CD4 primari infettati in vitro e poi indotti a uno stato di latenza e in CD4 memoria e CD4 quiescenti isolati in diversi momenti da 12 pazienti HIV+ in ART soppressiva da almeno 6 mesi. E che tutto questo si verificava a dosi cliniche (2,8 nM di romidepsina vs 1.3 μM di vorinostat – si tratterebbe dunque di dare dosi di romidepsina dai 2 ai 5 mg/m2).
La conclusione di questo lavoro era che la romidepsina merita di essere valutata clinicamente come attivatore dell’espressione dell’HIV in persone con viremia soppressa dalla ART.

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A metà aprile scorso, si è svolta la 19th Annual Conference of the British HIV Association, durante la quale Romas Geleziunas, responsabile della virologia clinica di Gilead, ha tenuto una lunga lezione intitolata Towards a Cure e dedicata prevalentemente alla romidepsina e a un suo eventuale uso in combinazione con un vaccino terapeutico o con altre sostanze in grado di rinforzare l’azione citolitica dei CD8, risolvendo il “problema di Siliciano e Shan”, di cui non facciamo altro che parlare da un anno a questa parte.

Nella sua lezione, Geleziunas ha ricordato che per eradicare le cellule latentemente infette è necessario 1) attivare l’espressione dell’HIV latente; 2) eliminare le cellule in cui l’HIV si replica attivamente e 3) bloccare con gli antiretrovirali la produzione di nuove particelle virali.

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Le strategie per attivare ed eliminare i reservoir sono una combinazione di attivazione dell’espressione dell’HIV mediante 1) inibitori dell’iston-deacetilasi; 2) attivatori del meccanismo della Protein chinasi C (PKC); 3) attivatori della BRD4 (Bromodomain-containing protein 4); o 4) altre eventuali nuove sostanze – e di eliminazione delle cellule in cui l’HIV è attivo mediante 1) sostanze immuno-modulanti; 2) anticorpi monoclonali o 3) vaccini terapeutici.

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Questa è la situazione degli HDACi già in fase clinica:

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Quello che mi ha colpito in particolare nella slide che segue è che la romidepsina pare non essere mutagenica:

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Le tre slides che seguono, invece, descrivono un confronto in vitro della capacità di attivazione di diversi HDACi e un confronto dell’attività della romidepsina e del vorinostat su CD4 memoria e su CD4 quiescenti ex vivo.

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La romidepsina è in grado di riattivare l’HIV latente a concentrazioni che possono essere usate nella clinica e che sono più basse rispetto a quelle che devono essere usate sia per il vorinostat, sia per il panobinostat:

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A causa delle indebolite reazioni citotossiche dei CD8, sappiamo che risvegliare il virus dalla latenza non è sufficiente per eradicarlo. Quindi servono delle strategie per distruggere le cellule in cui l’HIV è stato riattivato.

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Nel caso del panobinostat, si pensa di sfruttare la sinergia con un agonista del Toll Like receptor 9. Invece, l’idea della Gilead è di provare ad utilizzare un agonista del TLR7.

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Un possibile candidato è il GS 9620, in fase I su persone con HBV (e ampiamente testato su animali).

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Un riferimento di Geleziunas che mi ha colpito è alla possibilità di utilizzare come coadiuvante per l’eradicazione il vaccino terapeutico che usa il CMV come vettore e che Louis Picker sta sperimentando (con notevole successo) sui macachi (vedere il thread Louis Picker, le "scimmie di Portland" e il vaccino al CMV).

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Questo è tutto, per adesso.



Boyz84
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Re: Altri HDACi anti-latenza in fase clinica: romidepsina

Messaggio da Boyz84 » lunedì 6 maggio 2013, 10:53

Grazie Dora...
avendo una base riesco a capire un pò gli articoli e i diversi studi in corso... ma con te che esponi così abilmente le linee guida è tutto più semplice.



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Re: Altri HDACi anti-latenza in fase clinica: romidepsina

Messaggio da Dora » lunedì 6 maggio 2013, 12:33

Boyz84 ha scritto:Grazie Dora...
Grazie a te. Immagine

Aggiungo un paio di cose che ho dimenticato di scrivere nel post precedente.
Anzitutto, una scheda sulla romidepsina, da cui si possono comprendere, oltre ai dosaggi (come chemioterapico) e al fatto che è metabolizzata dal Citocromo P450 3A4 (CYP3A4), un enzima tipicamente coinvolto nella degradazione dei farmaci, anche che i maggiori effetti collaterali sono nausea e fatigue e che - come tutti gli HDACi - può causare anemia e trombocitopenia e impone di tenere controllati i livelli di potassio e di magnesio:

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Dalla stessa conferenza tenuta da Geleziunas all'Isheid 2012, ho ricavato anche qualche informazione in più sull'idea di Gilead di utilizzare il GS-9620 (agonista del TLR7) come attivatore delle capacità dei CD8 di distruggere i CD4 latentemente infetti riattivati. L'hanno infatti testato in vitro e hanno visto che riesce a riattivare sia i CD8, sia le natural killer.

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Dora
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Re: Altri HDACi anti-latenza in fase clinica: romidepsina

Messaggio da Dora » martedì 29 ottobre 2013, 9:15

Dora ha scritto:Abbiamo parlato fin dai suoi inizi della sperimentazione clinica sul vorinostat e in questi giorni abbiamo trattato della sperimentazione appena partita sul panobinostat. C’è però un altro inibitore dell’iston-deacetilasi in fase clinica e si tratta della romidepsina, un farmaco approvato già dal 2009 contro il linfoma cutaneo a cellule T e altri tipi di cancro, e commercializzato dalla Gilead con il nome di Istodax. Quando la si usa come chemioterapico, se ne dà una dose intravenosa di 15 mg per metro quadro di superficie corporea.

Un trial clinico di fase I/II della romidepsina come farmaco per risvegliare l’HIV latente in persone con viremia soppressa dalla ART è stato approvato l’anno scorso dall’AIDS Cilinical Trial Grup (ACTG) con lo scopo di stabilirne sicurezza, tollerabilità e capacità di attivare l’espressione dell’HIV-1 (Trial A5315) e nell’aprile di quest’anno veniva definito “in sviluppo” in un altro documento dell’ACTG, che affidava il protocollo a Liz Barr della Towson University. Credo quindi che, se la sperimentazione non è già partita, sia in partenza.

Da notizie di tre settimane fa, il trial – guidato da John Mellors e Deb McMahon, Pittsburg – consta della somministrazione di una singola dose di romidepsina secondo tre diversi dosaggi (0,5, 2 e 5 mg/m2 di superficie corporea) a pazienti HIV+ con viremia soppressa dalla ART (VL < 50 copie/mL).
Verranno valutati i cambiamenti nei livelli di HIV RNA nei CD4 quiescenti 24 ore dopo la somministrazione e i livelli di HIV RNA nel plasma a 0 – 48 ore.
Stando a ClinicalTrials.gov (aggiornato ad agosto), la sperimentazione - interventional e randomizzata con placebo - non è ancora aperta all'arruolamento dei 45 pazienti previsti dal protocollo (da notare che, nella descrizione del protocollo, non si parla affatto di rafforzare i CD8 con l'agonista del TLR7. Quindi l'idea sotto questo trial è uno "shock and kill" INGENUO).
Ho appena controllato nel sito dell'ACTG e tutto tace.

Mi domando dunque se questo trial comincerà mai o se verrà invece travolto dalle conseguenze dell'ultimo lavoro di Siliciano.



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Re: Altri HDACi anti-latenza in fase clinica: romidepsina

Messaggio da Dora » venerdì 31 gennaio 2014, 12:27

Dora ha scritto:Mi domando dunque se questo trial comincerà mai o se verrà invece travolto dalle conseguenze dell'ultimo lavoro di Siliciano.
La buona notizia è che il trial - targato NIAID e University of Pittsburgh (John Mellors) - è confermato in partenza, anche se non sta ancora reclutando volontari:
Uno studio "interventional", randomizzato, in doppio cieco e con placebo, di fase I/II (sicurezza ed efficacia), sulla somministrazione di una singola dose di romidepsina in 45 persone con HIV e con viremia soppressa dalla ART e più di 300 CD4. Tre coorti con diversi dosaggi di romidepsina e corrispondente coorte placebo.
Dati sugli obiettivi primari previsti per gennaio 2015.

Obiettivi primari:
  • - valutare l'accadere di eventi avversi di grado 3 o superiore (sintomi, tossicità di laboratorio o eventi clinici) nei 28 giorni successivi alla somministrazione (per via iniettiva) della romidepsina;
    - valutazione dei cambiamenti dei livelli di HIV RNA nel plasma mediante SCA (single copy assay) rispetto ai valori di partenza (48 ore dopo la somministrazione di romidepsina o placebo);
    - valutazione dei cambiamenti dei livelli di HIV RNA associato alle cellule nei CD4 quiescenti (24 ore dopo la somministrazione di romidepsina o placebo).
Obiettivi secondari:
  • - valutazione dei cambiamenti dei livelli di HIV RNA nel plasma mediante SCA (single copy assay) rispetto ai valori di partenza (nei 28 giorni dopo la somministrazione di romidepsina o placebo);
    - valutazione dei cambiamenti dei livelli di HIV RNA associato alle cellule nei CD4 quiescenti (nei 28 giorni dopo la somministrazione di romidepsina o placebo);
    - valutazione dei cambiamenti dei livelli di HIV RNA associato alle cellule nei CD4 totali (nei 28 giorni dopo la somministrazione di romidepsina o placebo);
    - valutazione dei cambiamenti della acetilazione istonica nei CD4 totali;
    - valutazione dei cambiamenti dei livelli di HIV DNA totale nei circoli 2 LTR nei CD4 quiescenti e totali;
    - parametri farmacocinetici;
    - numeri e percentuali dei partecipanti con livelli di HIV RNA maggiori di 200 copie.



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Re: Altri HDACi anti-latenza in fase clinica: romidepsina

Messaggio da Dora » lunedì 24 marzo 2014, 21:49

Proprio negli stessi giorni in cui Siliciano mette pesantemente in discussione l'efficacia di tutti i farmaci anti-latenza ad oggi conosciuti, e dunque anche della romidepsina, esce un articolo in cui si parla della strategia di cura di Gilead - Gilead Following Multiple Paths Toward HIV “Functional Cure” - che ci fornisce qualche aggiornamento.
Eravamo fermi all'iscrizione del trial in ClinicalTrials.gov e al fatto che ancora non era aperto l'arruolamento dei pazienti (ed è ancora così). Ma queste sono le dichiarazioni di Romas Geleziunas (che confermano anche la collaborazione con Picker e il fatto che lo studio del vaccino al CMV in funzione terapeutica è già partito su macachi con infezione cronica):

  • (...) But researchers are now wondering: What if the reservoir cells could be forced to switch into active mode while patients were still taking their antiretroviral drugs? Would the latently infected cells then die—as most blood cells do when they’re forced to manufacture copies of the HIV virus? If so, the HIV reservoir might be exhausted without harming the patient. Greene and Gilead are both part of scientific consortia that are looking for drugs that can safely “shock” the reservoir cells into a reactivated state.

    Gilead found such a drug, romidepsin (Istodax), by screening its own library of compounds, as well as all FDA-approved drugs. Romidepsin is a Celgene drug approved to treat a type of skin cancer, cutaneous T-cell lymphoma. But it can also activate cells latently infected with HIV.

    Romidepsin will soon be used as a “test of concept” drug in a clinical trial sponsored by the National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID) and supported by Gilead, Celgene, and other partners, Geleziunas says. Investigators will dose HIV- positive participants with romidepsin while maintaining them on their antiretroviral medicines. Using a variety of different tests, the investigators will then measure how much of the HIV reservoir has been depleted.

    Geleziunas doesn’t expect this trial to yield a treatment, but the procedures developed could one day validate a future therapy. Romidepsin isn’t the most powerful activator of latently infected cells—in lab studies, certain immune system stimulants are more potent. But romidepsin was chosen for the trial because it has a known safety profile as a drug already approved to treat human beings, Geleziunas says.

    It’s possible that several rounds of activation over time will be required to induce all the latently infected cells to transform into a mode that makes them more vulnerable to cell death than they are in their resting state, Geleziunas says. A multiple dose study with romidepsin is being planned.

    But if activation alone is not enough to kill all the latently infected cells, another agent will have to be added to finish them off, Greene says. He estimates that the reservoir contains about a million cells.


    “You’ve got to get every one of them,” Greene says. This “shock and kill” tactic is being pursued by a research consortium Greene belongs to.

    Again, any clinical trial of this tactic would be conducted with participants who continued taking their antiretroviral drugs. Trial investigators would be relying on these drugs to protect uninfected cells from the temporary surge of new HIV virus produced by the activation of latently infected cells.

    Gilead already has a line on a drug that might play the “kill” role in a “shock and kill” regimen against the HIV cell reservoir, Geleziunas says. In preclinical research, the company has been studying the effects of an experimental immune modulation drug against viral infections. This agent helps mobilize two types of immune system cells that might destroy reactivated cells that have been harboring the HIV reservoir. The compound is believed to boost the action of a protein, toll-like receptor 7 or TLR7, which activates cytotoxic T-cells called CD8+ cells and NK or “natural killer” cells.

    In further collaborations, Gilead is exploring two other possible HIV eradication strategies. The first draws on naturally occurring antibodies found in the blood of certain patients in Africa who have been called “elite neutralizers.” Their protective antibodies are called “broadly neutralizing” because they work against a wide range of viral strains.

    Copies of these monoclonal antibodies could be part of a new treatment, Geleziunas says. “We could combine this with antiretroviral drugs and hopefully achieve sustained viral suppression,” Geleziunas says. If so, researchers could later try discontinuing the maintenance drugs, he says.

    Gilead is also supporting studies of a vaccination method developed by Louis Picker at the Oregon Health & Science University. Picker’s technology appears to train the immune system to patrol continuously for certain pathogens in a long-term “seek and destroy” campaign that might some day be useful against the latent HIV reservoir.

    In preclinical studies, Picker created a vaccine for SIV, a virus similar to HIV that infects monkeys. He joined SIV to a sort of vaccine vehicle or vector—a virus called cytomegalovirus that commonly infects humans and usually doesn’t cause disease. That vaccine, used as a preventive measure, protected half of a group of uninfected monkeys from SIV when they were exposed to the deadly simian immunodeficiency virus. Those monkeys produced virus, but their immune systems cleared it completely within three years.

    “That is without precedent,” Geleziunas says. Picker’s group is trying to figure out why only half the monkeys benefited from the vaccine, and is also creating human cytomegalovirus vaccine vectors to carry the HIV virus for a potential vaccine for people. Picker co-founded a company, Portland, OR-based Tomegavax, to develop the technology.

    Gilead is now participating in a collaboration with Picker, the Gates Foundation and other partners to figure out whether the SIV vaccine might be turned into a therapy or cure for monkeys already infected with SIV. In a study that has already begun, infected monkeys are treated with antiretroviral drugs, and then given the SIV-cytomegalovirus vaccine. After as much as a year, researchers will check to see whether the virus population rebounds when antiretroviral drugs are stopped. If the virus doesn’t return, the same method might be tried in clinical trials to see if a similar HIV vaccine could wipe out the HIV cell reservoir in humans.

    Geleziunas says Gilead’s HIV eradication program includes a large group of well-supported scientists. They’ll explore any type of therapy that works best, whether it’s small molecules drugs, biologics, or vaccines, he says.

    “We really don’t care where it comes from,” Geleziunas says. “We’ll go where the science takes us.”



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Re: Altri HDACi anti-latenza in fase clinica: romidepsina

Messaggio da Dora » venerdì 11 aprile 2014, 15:29

L'inizio di ben due trial in cui viene testata la romidepsina come farmaco anti-latenza (il trial di cui si parla in questo thread e quello in partenza di Bionor) è quanto mai tempestivo, perché se l'ultimo lavoro uscito dal laboratorio di Siliciano sembra aver messo una gravosissima ipoteca su tutti gli HDACi come sostanze capaci di provocare un'efficace trascrizione dell'HIV latente nel reservoir dei CD4, un articolo uscito proprio ieri su PLoS PATHOGENS sembra invece ribaltare la sentenza sulla romidepsina e dimostrare che è in grado di causare produzione virale in CD4 latentemente infetti non solo in vitro, ma anche ex vivo.
Le sperimentazioni cliniche dovranno dunque fungere da experimentum crucis, per dirci se almeno la romidepsina ha - fra tutti gli HDACi - la possibilità di funzionare in una strategia di cura.

Una premessa, tuttavia, è d'obbligo: l'articolo, anche se è firmato da tanti bravissimi ricercatori e anche se esce su PLoS PATHOGENS e non sull’Italian Journal of Amateur Embryology, è *targato Gilead*, il produttore della romidepsina e uno degli sponsor della sperimentazione clinica ora in partenza. È difficile immaginare che chi si sta impegnando in una sperimentazione complessa e costosa pubblichi un articolo in cui dimostra che il farmaco che sta per sperimentare non funziona.
L'articolo del Siliciano Lab era invece totalmente indipendente. Tuttavia, i tempi di esposizione in vitro delle cellule prelevate ex vivo da pazienti HIV+ in terapia soppressiva sono stati diversi nei due studi - 18 ore in quello di Siliciano, 6 giorni nello studio Gilead: dopo 6 giorni si è visto che c'era riattivazione della trascrizione virale. Questo potrebbe aver fatto la differenza e mi auguro che la sperimentazione clinica, con i suoi tre diversi bracci di dosaggio del farmaco, potrà confermarlo (o magari anche smentirlo – ma facendo comunque chiarezza).


Detto questo, nello studio Gilead si è svolto un confronto fra vorinostat (VOR) e romidepsina (RMD) sia su un modello cellulare di latenza, dunque su CD4 primari infettati con l’HIV in vitro, sia su CD4 memoria e quiescenti prelevati da persone HIV+ con viremia soppressa dalla ART sotto le 50 copie/ml da almeno 1 anno.
Poiché la prima parte della ricerca era abbastanza scontato che dimostrasse il potere anti-latenza della romidepsina, mi concentrerò sugli esperimenti di riattivazione dell’HIV latente ex vivo.

  • [divbox]1. In una iniziale serie di esperimenti, i CD4 prelevati e purificati dai pazienti sono stati trattati con 40 nM di RMD per 4 ore o con 1μM di VOR per un massimo di 24 ore per simulare i profili di esposizione clinica di queste sostanze e per valutare la cinetica dell’induzione dell’HIV sono stati misurati i livelli di RNA virale dopo 6, 12, 24 e 48 ore dall’esposizione delle cellule ai farmaci.
    In conformità a quanto avvenuto in studi precedenti, si è visto che i livelli di HIV RNA dopo 6 ore di trattamento con VOR erano aumentati da 2 a 4 volte, ma dopo 48 ore decrescevano fino a sparire. Invece, nelle cellule trattate con RMD l’HIV RNA associato alle cellule continuava ad aumentare, con un picco fra le 24 e le 48 ore – ad indicare che l’attivazione della trascrizione dell’HIV mediante romidepsina dura di più rispetto a quella mediante vorinostat.

    2. Una seconda serie di esperimenti ha indagato se romidepsina e vorinostat fossero in grado di indurre rilascio di particelle virali dai CD4 memoria e quiescenti. Le cellule sono state dunque messe a coltura e si è valutato l’HIV RNA che si accumulava nel mezzo di coltura nel corso di diversi giorni (6, come accennato all'inizio).
    In questo caso, la romidepsina ha aumentato l’HIV RNA extracellulare, il vorinostat no.[/divbox]


Un serio problema della romidepsina è che alle dosi usate in clinica contro i tumori ematologici può presentare tossicità. Ma le concentrazioni del farmaco che sono state usate in questi esperimenti sono state più basse di quelle usate in campo oncologico, e si è visto che la RMD è in grado di indurre la trascrizione dell’HIV nelle cellule estratte da pazienti con viremia soppressa dalla ART a concentrazioni notevolmente più basse di quelle approvate per trattare i malati di linfoma a cellule T.
Si è inoltre confermato che riesce a riattivare la trascrizione del virus senza al contempo indurre una (inaccettabile) attivazione globale dei linfociti T o B.

In tutta questa serie di dati confortanti si inserisce però un avvertimento da non trascurare: la presa d’atto che il lavoro di Siliciano del 2012 ha dimostrato che una grande quantità di provirus difettivi non vengono attivati e quindi non possono essere distrutti dagli effetti citopatici del virus stesso o dalla reazione immune, cui si deve aggiungere l’altro e più recente lavoro di Siliciano – quello sulla grande porzione di provirus intatti che sembrano proprio refrattari alla riattivazione.
Ecco perché anche in questo articolo si ribadisce l’importanza – in tutti i trial clinici futuri - di avere a disposizione metodi per misurare correttamente i mutamenti nelle dimensioni del reservoir dell’HIV che può essere indotto a trascriversi dall’intervento di qualche farmaco anti-latenza.
Ed ecco perché si ricorda anche qui come, in questa fase ancora iniziale degli studi per arrivare a una cura, quale possa essere il destino delle cellule che esprimono HIV riattivato non è ancora affatto chiaro. Infatti, mentre sappiamo che l’infezione acuta dei CD4 con HIV comporta la morte della cellula, che sia per meccanismi diretti o indiretti, non sappiamo se la riattivazione dell’HIV latente mediante romidepsina o altro farmaco anti-latenza porterà davvero alla morte della cellula. Se ciò non avverrà, sarà necessario trovare un modo per eliminare le cellule che esprimono proteine virali – che si tratti di sostanze che inducano selettivamente l’apoptosi delle cellule infette riattivate, o di una qualche terapia con anticorpi che rafforzi l’azione delle cellule natural killer.
Questa seconda opzione pare piacere di più a Wei, Chilar e colleghi, perché è una strategia già usata per trattare diverse forme di cancro e perché la distruzione delle cellule infette mediante anticorpi può essere resa estremamente precisa grazie agli anticorpi monoclonali contro cellule che espimono la Env dell’HIV.
Il problema è che non è affatto detto che la riattivazione farmacologica dell’HIV latente indurrà l’espressione di livelli di gp140/gp41 sulla superficie delle cellule riattivate sufficienti a scatenare una reazione mediata dagli anticorpi, che porti alla distruzione della cellula.




FONTE:



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Re: Altri HDACi anti-latenza in fase clinica: romidepsina

Messaggio da nordsud » sabato 12 aprile 2014, 8:18

Dora ha scritto:
In tutta questa serie di dati confortanti si inserisce però un avvertimento da non trascurare: la presa d’atto che il lavoro di Siliciano del 2012 ha dimostrato che una grande quantità di provirus difettivi non vengono attivati e quindi non possono essere distrutti dagli effetti citopatici del virus stesso o dalla reazione immune, cui si deve aggiungere l’altro e più recente lavoro di Siliciano – quello sulla grande porzione di provirus intatti che sembrano proprio refrattari alla riattivazione.
Ecco perché anche in questo articolo si ribadisce l’importanza – in tutti i trial clinici futuri - di avere a disposizione metodi per misurare correttamente i mutamenti nelle dimensioni del reservoir dell’HIV che può essere indotto a trascriversi dall’intervento di qualche farmaco anti-latenza.
Attivare o meno un provirus difettivo non dovrebbe contare più di tanto... se è difettivo un motivo ci sarà altrimenti sarebbe il solito virus hiv di sempre.
Credo invece che la realtà sia diversa: I farmaci testati non risvegliano proprio niente... difettivi o no che siano i virus o i provirus.



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Re: Altri HDACi anti-latenza in fase clinica: romidepsina

Messaggio da Dora » sabato 12 aprile 2014, 9:00

nordsud ha scritto:Credo invece che la realtà sia diversa: I farmaci testati non risvegliano proprio niente... difettivi o no che siano i virus o i provirus.
A meno che tutti questi ricercatori (Siliciano compreso) stiano pubblicando dei dati falsi, non è così. Che poi le cose in vivo fino ad ora non siano andate come ci si aspettava, è il vero, grande problema, che mi sembra rischi di vanificare in parte l'utilità di questi trial clinici. E capisco bene che chi li sta facendo tenda a cautelarsi sostenendo che si tratta di proof of concept e che i pazienti non devono aspettarsi alcun beneficio dalla loro partecipazione a questi studi.
Chi si presta volontario deve avere ben chiaro che lo fa per fare aumentare conoscenze di cui forse beneficeranno altri e che potrebbe invece pagarne un prezzo personale in termini di tossicità o effetti collaterali non del tutto prevedibili.
Non c'è da stupirsi che trovare pazienti per questo genere di sperimentazioni cliniche sia sempre più difficile.

Temo di avere scritto un post troppo sintetico. Volevo renderlo più leggero e non ho postato i grafici, da cui forse si capisce meglio il lavoro fatto da Gilead.
Queste sono le figure riferite agli esperimenti di cui ho parlato nel mio post di ieri.
(I materiali supplementari, da cui si possono vedere molti altri particolari dello studio, possono essere scaricati qui: http://www.plospathogens.org/article/in ... 1004071#s5.)

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Re: Altri HDACi anti-latenza in fase clinica: romidepsina

Messaggio da Dora » martedì 15 luglio 2014, 6:23

Dora ha scritto:
Dora ha scritto:Mi domando dunque se questo trial comincerà mai o se verrà invece travolto dalle conseguenze dell'ultimo lavoro di Siliciano.
La buona notizia è che il trial - targato NIAID e University of Pittsburgh (John Mellors) - è confermato in partenza, anche se non sta ancora reclutando volontari:
Uno studio "interventional", randomizzato, in doppio cieco e con placebo, di fase I/II (sicurezza ed efficacia), sulla somministrazione di una singola dose di romidepsina in 45 persone con HIV e con viremia soppressa dalla ART e più di 300 CD4. Tre coorti con diversi dosaggi di romidepsina e corrispondente coorte placebo.
Dati sugli obiettivi primari previsti per gennaio 2015.

Obiettivi primari:
  • - valutare l'accadere di eventi avversi di grado 3 o superiore (sintomi, tossicità di laboratorio o eventi clinici) nei 28 giorni successivi alla somministrazione (per via iniettiva) della romidepsina;
    - valutazione dei cambiamenti dei livelli di HIV RNA nel plasma mediante SCA (single copy assay) rispetto ai valori di partenza (48 ore dopo la somministrazione di romidepsina o placebo);
    - valutazione dei cambiamenti dei livelli di HIV RNA associato alle cellule nei CD4 quiescenti (24 ore dopo la somministrazione di romidepsina o placebo).
Obiettivi secondari:
  • - valutazione dei cambiamenti dei livelli di HIV RNA nel plasma mediante SCA (single copy assay) rispetto ai valori di partenza (nei 28 giorni dopo la somministrazione di romidepsina o placebo);
    - valutazione dei cambiamenti dei livelli di HIV RNA associato alle cellule nei CD4 quiescenti (nei 28 giorni dopo la somministrazione di romidepsina o placebo);
    - valutazione dei cambiamenti dei livelli di HIV RNA associato alle cellule nei CD4 totali (nei 28 giorni dopo la somministrazione di romidepsina o placebo);
    - valutazione dei cambiamenti della acetilazione istonica nei CD4 totali;
    - valutazione dei cambiamenti dei livelli di HIV DNA totale nei circoli 2 LTR nei CD4 quiescenti e totali;
    - parametri farmacocinetici;
    - numeri e percentuali dei partecipanti con livelli di HIV RNA maggiori di 200 copie.

Il trial ACTG A5135 del National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID) sulla romidepsina ha iniziato in questo mese ad arruolare participanti.
Poiché la partenza è stata dilazionata, dubito che la data del gennaio 2015 sia ancora in vigore per avere disponibili i dati relativi all'obiettivo primario e credo debba essere spostata all'estate dell'anno prossimo.


Del si attendono invece notizie la settimana prossima a Melbourne.



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